Indagine Cognitiva

L’indagine cognitiva, inerente cioè alla quarta sfera, consiste nel valutare l’efficacia degli schemi cognitivi del soggetto. Questi risultano adattivi nella misura in cui rendono possibile un output comportamentale che tenga conto del maggior numero di informazioni tra quelle presenti nel sistema mentale.

Non tutte le informazioni aggregate nelle sfere sono disponibili all’elaborazione cognitiva. Rimangono inconsce, cioè non giungono alla quarta sfera, tutte quelle istanze mentali che, bloccate nelle deviazioni delle sfere, non fluiscono nel canale centrale.
Altre volte accade che un’insufficiente sperimentazione in un determinato ambito faccia venir meno informazioni nodali che dovrebbero svolgere la funzione di collegamento tra quelle già esistenti. Si creano così zone non sperimentate con conseguenti carenze comportamentali.
A volte, anche in assenza di informazioni o collegamenti, il soggetto può produrre la scelta comportamentale più adeguata. In questi casi il primo a rimanerne stupito è la persona stessa e a volte il vissuto che ne scaturisce è di profondo disagio e disorientamento. Situazioni di questo tipo sono state spesso trattate erroneamente a livello psichiatrico, invece questi casi trovano facile soluzione attraverso un trattamento cognitivo mirante all’acquisizione dei dati e dei collegamenti mancanti.

L’indagine cognitiva si avvale di tutti quegli strumenti atti a valutare come l’area della comprensione elabori quanto esperito nelle sfere sottostanti. Tra i metodi più usati citiamo l’analisi delle parole, il tema delle quattro sfere, l’analisi del volto e la definizione del disagio e dell’obiettivo:

  1. Attraverso l’ascolto attivo lo psicologo coglie le parole chiave riconducibili al disturbo del paziente. Esse ricorrono frequentemente – “la lingua batte dove il dente duole” – oppure vengono sottratte dal lessico abituale e sostituite da altre che mostrano un chiaro uso artatamente improprio. A causa di traumi alcune parole perdono una valenza neutra e ne assumono una dolorosa. In tal modo esse divengono “parole chiave” che assolvono la funzione di barriera nel campo di coscienza dal quale ci si illude così di escludere il trauma. Altre parole, invece, sono semplicemente inadatte a descrivere la complessità delle esperienze oggetto della comunicazione, in quanto gli schemi cognitivi non hanno ancora sintetizzato le informazioni presenti negli schemi mentali.
  2. Dopo aver presentato sommariamente le quattro aree del sistema mentale, si richiede alla persona di raccontarsi attraverso questi quattro punti di vista. Tale elaborato, possibilmente prodotto sinteticamente alla presenza dello psicologo, fornisce una molteplicità di indizi su quanto la persona sia consapevole delle motivazioni inerenti ai suoi comportamenti e di quanto sappia ricondurli al proprio progetto evolutivo. Descrivere le sfere significa valutare le risorse e le problematiche della mente, quindi dà una misura del grado di autocoscienza del soggetto. Questo primo elaborato viene poi confrontato con un secondo che ha luogo dopo che il paziente ha acquisito una sufficiente conoscenza delle linee generali del modello.
  3. Il modello semeiotico del volto da noi utilizzato si avvale contemporaneamente dei contributi della scienza occidentale (dalla fisiognomica alla morfopsicologia) e di quella orientale (dalla tradizionale medicina cinese alla macrobiotica giapponese di Georges Ohsawa e Michio Kushi). L’analisi del volto mira, in particolare, ad individuare le emozioni vissute dal soggetto, in quanto esse svolgono la funzione di modulazione del comportamento. Le diverse emozioni possono mostrarsi fluidamente sul volto ed essere congruenti al contesto oppure presentarsi in maniera distonica e/o rigidamente “congelate”. In questo ultimo caso, i muscoli del volto organizzano espressioni fisse, simili a maschere.
  4. La definizione del disagio e degli obiettivi del percorso di cura è un momento cruciale della fase d’indagine in quanto, oltre ad essere l’ossatura del contratto terapeutico, segna di fatto l’inizio della guarigione. Infatti, attraverso la verbalizzazione del proprio vissuto doloroso, la persona si avvia alla presa di coscienza del proprio male e, definendo l’obiettivo concreto da raggiungere, intravede se stesso guarito. Questo momento è reso possibile dal fatto che il terapeuta, individuando e relazionandosi con le aree sane del soggetto, lo stimola ad assumersi la responsabilità del proprio percorso di cura.