Diagnosi
Nella nostra ottica risultano perciò insufficienti le diagnosi elaborate solo tramite sistemi internazionali quali il DSM IV o l’ICD10 che, nonostante le continue revisioni, si riducono a strumenti di fredda comunicazione tra i professionisti. Limitarsi ad una siffatta etichetta diagnostica rischia di disattendere le aspettative di chi, sofferente a vari livelli, desidera indicazioni utili per comprendere i suoi disagi e predisporsi ad affrontare gli step necessari alla sua crescita.
Nel processo diagnostico le manifestazioni patologiche devono essere considerate per quello che sono in realtà: tentativi adattivi del sistema mentale, che si generano nell’interazione col suo ambiente interno e con il contesto di riferimento. Le malattie e i comportamenti cosiddetti “errati” vanno considerati come parti integranti e significative di un percorso evolutivo.
Nel rispetto della dinamicità del modello mentale a quattro sfere, l’approccio diagnostico non è riconducibile solo alla fase iniziale del processo terapeutico ma è “spalmato” in tutte le fasi della terapia, in quanto fornisce, oltre ad una verifica in itinere, il fotogramma che ritrae quell’essere in un determinato momento evolutivo. La sintomatologia manifesta (dal livello chimico/biologico fino a quello cognitivo) ci racconta quali informazioni non sono ancora state digerite ed assimilate dal sistema mentale, oppure in quale ambito sia presente una carenza di informazioni che rende non-coerenti gli schemi mentali e cognitivi. A tal fine, il processo diagnostico inizia con un’anamnesi tendente ad individuare le dinamiche esperienziali che hanno determinato posizioni rigide o estremamente oscillanti delle sfere. Oltre alle informazioni raccolte, anche le modalità comunicative del soggetto concorrono alla definizione di un quadro clinico e alla focalizzazione di un primo obiettivo terapeutico.