La Cura nella Nuova Psicologia

Nel descrivere l’applicazione clinica del Modello Mentale a Quattro Sfere occorre, prima di tutto, chiarire cosa intendiamo per “cura”. Nel linguaggio comune si tende a parlare di cura quando un insieme d’interventi, opportunamente coordinati, porta alla risoluzione della malattia. Essa si distingue dalla “terapia” in quanto quest’ultima si riferisce ad un solo specifico intervento ed ha minore probabilità di successo.

Il nostro concetto è inteso anche nel senso più ampio del “prendersi cura” della persona nella sua totalità. Ciò si evidenzia sin dalla fase di presa in carico – primo atto di un qualsiasi intervento psicoterapeutico – dove, al di là delle formalità contrattuali, si mira a focalizzare l’attenzione sulla relazione, senza fraintendimenti di delega. Infatti il “cliente” non dovrà affidare al terapeuta la responsabilità della risoluzione del suo problema e dovrà apprendere che la sua “presa di coscienza” passa attraverso l’impegno personale. Il terapeuta, d’altra parte, si impegnerà stabilmente nella relazione mantenendo una disponibilità senza pregiudizi. Questo gli permetterà sia di accogliere la persona durante la terapia sia, al termine di essa, di instaurare con lei un rapporto di tipo amicale – fondato sulla reciproca indipendenza e autonomia – quale naturale evoluzione del processo di guarigione.

Nel “prendersi cura della persona” lo psicologo dovrà operare in modo integrato, coniugando una prospettiva terapeutica orizzontale ad una verticale. Operare in senso orizzontale consente di avere una lettura complessiva della situazione del soggetto sia integrando nel processo diagnostico dati clinici rilevati precedentemente, sia suggerendo ulteriori indagini nei diversi campi della “salute” e del “benessere”.

La visione globale così ottenuta permette di cogliere le molteplici sfaccettature di ogni singola informazione e di ampliarne il significato tramite la correlazione con tutte le altre. Ciò consentirà allo psicologo di tracciare un profilo coerente, utile a strutturare il progetto terapeutico. Inoltre offrirà al soggetto la possibilità di chiarificare il suo precedente iter di cura tramite la comprensione razionale di ciò che gli è stato diagnosticato in passato. In questo modo egli potrà rivisitare quel vissuto prima non accessibile all’elaborazione.

Nella strutturazione del progetto terapeutico, l’orizzontalità si esplica anche attraverso interventi integrati a vari livelli, che tengano conto della complessità psicofisica della persona al fine di predisporre un’efficace terapia cognitiva. Le azioni sul piano fisico e chimico-alimentare mirano a depurare l’organismo e compensarne gli squilibri, migliorando così il “terreno” (il substrato biologico) su cui si costruiscono rapporti e reti sociali (intervento affettivo-relazionale) indispensabili per sostenere il percorso di cambiamento e di crescita intrapreso dall’essere (intervento cognitivo).

Operare in senso verticale, invece, implica un intervento specialistico focalizzato principalmente nell’area cognitiva, volto a favorire il decisivo cambiamento del soggetto. Il lavoro si propone l’individuazione e il rimodellamento degli schemi cognitivi attraverso l’uso strategico del linguaggio, strumento terapeutico per eccellenza. In particolare si tratta di individuare le parole utilizzate più frequentemente dalla persona e che connotano il disagio, per poi sostituirle gradualmente con altre più funzionali in grado di facilitare un miglior equilibrio nel soggetto. Le nuove parole, inducendo pensieri sani, non nutrono più gli io disfunzionali e sostengono l’organizzazione di un’identità più adattiva.

La cura così intesa, avvalendosi di una diagnosi dinamica che attraversa tutto il percorso terapeutico, impedisce all’essere di cristallizzare in sé l’identità di “malato”. Questa impostazione diagnostica dà al terapeuta la possibilità di cogliere sempre il “qui ed ora” del soggetto per impostare ogni volta un intervento che tenga conto dei cambiamenti.